Esito maturo di un lungo processo di adeguamento delle aspirazioni della cultura alla prassi scenica di fine Sei-cento—inizio Settecento, Merope può essere considerata come la realizzazione dell’auspicio muratoriano di compromissione dell'autore tragico con la materialità della scena pubblica. Stretta fu la collaborazione di Scipione Maffei con la troupe di Luigi Riccoboni, giocata sul doppio binario delle necessità di una riforma tragica italiana e delle concrete esigenze e consuetudini dei comici. Emergono in Merope tematiche canoniche per la cultura teatrale europea: l’ambiguità, l’incesto e la sua rimozione, la vendetta, l’amore materno come motore del tragico, la tirannide nella sua dimensione doppia, indagata non solo in quanto negatività assoluta ma anche nei suoi aspetti intriganti e tragicomici.
Merope was the mature fruit of an adaptation of the aspirations of culture to the requirements of stage practice between XVII and XVIII century. It can be considered the fulfilment of Muratori’s call for the compromise of the tragic author with the materiality of the stage. The collaboration between Scipione Maffei and Luigi Riccoboni’s troupe was very close. It was played on the double track of the needs of tragical reform in Italy and concrete requirements of a company of players. Merope results canonic for outstandig themes which were to have a resonance in the European theatre culture: ambiguity, incest and its repression, revenge, maternal love as the driving force of the tragedy, tyranny in its twofold dimension, investigated not only as absolute negativity, but also in its scheming, tragicomic aspects.
MEROPE. Quel scelerato in mio poter vorrei, Per trarne prima, s'ebbe parte in questo Assassinio il tiranno; io voglio poi Con una scura spalancargli il petto; Voglio strappargli il cor, voglio co' denti Lacerarlo, e sbranarlo: in ciò m'aita, O fido amico, in ciò m'assisti, e dopo Ciò ti conforma al tempo. (A. II, sc. 6)
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EGISTO. O di perigli piene, O di cure, e d'affanni ingombre, e cinte Case de i Re! mio pastoral ricetto, Mio paterno tugurio, e dove sei? Che viver dolce in solitaria parte, Godendo in pace il puro aperto Cielo, E de la terra le natie ricchezze! Che dolci sonni al sussurrar del vento, E qual piacer sorger col giorno, e tutte Con lieta caccia affaticar le selve, Poi ritornando nel partir del Sole A i genitor, che ti si fanno incontra, Mostrar la preda, e raccontare i casi E descrivere i colpi! Ivi non sdegno, Non timor, non invidia, ivi non giunge D'affannosi pensier tormento, o brama Di dominio, e d'onor. Folle consiglio Fu ben il mio, che tanto ben lasciai Per gir vagando: o pastoral ricetto, O paterno tugurio, e dove sei? Ma in questo acerbo dì fu tanta, e tale La fatica del piè, del cor l'affanno, Che da stanchezza estrema omai son vinto. Ben opportuni son, se ben di marmo, Questi sedili: o quanto or caro il mio Letticiuol mi saria! che lungo sonno Vi prenderei! quanto è soave il sonno! (A. IV, sc. 3)
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MEROPE. Lode a i pietosi eterni Dei, che tanta Atrocità non consentiro, e lode, Cintia triforme, a te, che tutto or miri Dal bel carro spargendo argenteo lume. (A. IV, sc. 7)